Bergamo, 1 settembre 1967
Caro Ferrari,
per il Suo silenzio Lei a me non deve alcuna scusa in quanto sì copiosa è la bella impressione che serbo di Lei da non attribuire significati a quello. Intanto Lei oggi mi dice parole consolanti della quali La ringrazio.
Le restituisco le Sue composizioni poetiche. Me le sono lette, rilette, meditate e sempre più sono persuaso del giudizio che Le espressi dopo la prima, affrettata lettura.
Codesta Sua ricchezza interiore, già precisa entro i confini del mondo in cui spazia, altro non ha bisogno che di tempo per lievitare ed esprimere un giorno gl’incanti e gli aromi che le sono propri. Perciò, caro Ferrari, io L’esorto a proseguire in codesto esercizio spirituale cui molti sono i chiamati, ma assai pochi gli eletti.
Avanti, dunque, con fede e volontà. Sia sempre una limpida fonte d’amore.
Mi raccomandi sempre all’affetto della Sua Mamma e del Suo Papà.
Presto verrò costì.
Badi che non sono “professore”. Non ho titoli ne’ accademici ne’ nobiliari e non ho nemmeno, ahimè, titoli di borsa. Non sono niente. Non ho niente. Eppure vivo pago lo stesso. Però oggi ho già qualcosa che ieri non avevo: il Suo affetto, la Sua stima. E Le pare poco?
La stringo al mio cuore, Suo
Renato Majolo
Bergamo, 3 agosto 1970
Carlo carissimo,
sei poeta. E sono lieto che tu oggi mi abbia fatto partecipe della tua grande gioia. Ne godo con te e per te, sinceramente.
Questo tuo componimento vorrei dire che è prezioso, nel senso esatto del termine, cioè per il vantaggio morale e poetico che se ne ritrae: da “praetiosus”. C’è in esso un sapore tutto nuovo; nuove immagini; e poi una musicalità tutta intima, interiore.
E dimmi: se tu non fossi poeta, potresti credere che io ti sia amico? La mia amicizia, il mio cuore li do soltanto ai poeti, ai poveri, agli umili, cioè alle creature che mi ricordano Cristo.
Vai avanti così, mio caro Carlo. Io ti seguo, perché un giorno vorrò godere dei tuoi successi. E li avrai tutti. Rivedo il volto di tuo padre. Non so dirti quanta commozione mi susciti quel volto.
Ti abbraccio, tuo
Renato
Bergamo, 26 gennaio 1971
Carlo mio caro,
“A mia madre” è una costruzione concreta concisa misurata e si leva, robusta, con la forza del tuo respiro interiore. E poi l’inedito delle immagini di cui è intessuta. E soprattutto c’è una serietà che non indulge in quei lirismi che sarebbero stati anche naturali, anche facili.
In questo lavoro già vedo un tuo superamento: il che, tenuto presente il tempo breve del tuo poetare, non è di poco conto ne’ di poca forza.
Vai avanti così, caro Carlo. Strada facendo eliminerai tu stesso le superfluità e crescerai in valore sulla funzione della parola, sul suono, sul significato. Il Verbo è poesia, sta a te saperlo incarnare nel tuo pensiero, nelle tue azioni. Auguri, intanto, e sinceri complimenti.
Salutami i tuoi genitori. Ti abbraccio, tuo
Renato
Bergamo, 25 marzo 1971
Carlo carissimo,
non rispondo subito per un mero dovere di formale educazione, che in tal caso potrei addurre mille giustificazioni o scuse, ma rispondo immediatamente perché ti voglio bene.
E chi non soffre tra gli uomini e per gli uomini? Ti serva da buona luce il dolore. Forse noi tutto dobbiamo al dolore e proprio niente alla gioia.
Veniamo alla tua poesia. “Conforto” è molto bella, ma ricorda che tu devi essere il critico di te stesso, cioè esercitare il tuo gusto, la tua capacità di oggettivare. Io, mi rendo conto che sono costretto, anche nolente, a sentire e giudicare sul filo della mia sensibilità, la quale non è la tua sensibilità per quanto mi sia affine. Capisci?
Coraggio, Carlo. Avessi la tua età vorrei sputare su questo mondo marcio e abbracciare tutte le belle fanciulle che fioriscono in codesta Garfagnana, bellissime, a tutte le stagioni.
Ma non capisci, bestione, che cosa significa avere vent’anni? Vuol dire avere in sé tutte le capacità e le energie e il tempo di trasmutare questo mondo, lurida sentina di bagascioni e di disonesti.
Scusa per il “bestione” ma te lo meriti.
Ti abbraccio, tuo
Renato
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