Il percorso pittorico di Carlo Ferrari

E’ stato detto che l’arte è una quota di verità, ma tale asserzione – nonostante la quotidiana lotta che le migliori menti stanno facendo per dare luce al buio di una superficialità invadente – sembra quasi soccombere di fronte al fatto che le opere in sé (parliamo di quelle connesse alla cosiddetta creatività di contenuto artistico-culturale) oggi sono per lo più trattate come dei semplici oggetti di consumo.
Fortunatamente c’è ancora gente che crede all’Arte.

Ben lontano dall’ambiguità di labili mode che vanno e vengono, e pur continuando un’autonoma ricerca pittorica, ritroviamo oggi Carlo Ferrari (che abbiamo seguito con attenzione sin dagli esordi quando prediligeva un discorso materico/informale), nella sua sintesi figurale dove non guasta una certa dose astrazionale.

Vi è da ammirare un’armoniosa funzione di elementi contenutistici nei quali non sono minimamente scalfite le cosiddette “condizioni esterne”.
Ribadiamo, infatti, che è il pensiero l’elemento primo e vitale della di lui Opera, affermando i noti concetti per cui niente è separabile nella cosiddetta “tecnica del linguaggio”, sia esso musicale o letterario o d’altro tipo.

I dipinti del Nostro – raccolti nell’esecuzione totale del 2010 – se da un lato ci raccontano la realtà esteriore, dall’altro entrano sempre in un’interiorità che poi si fa la “storia” di una vicenda umana concretata nelle tematiche connesse all’attività portuale di Marina di Carrara (o di altri piccoli o grandi rifugi costieri), o a quella delle mitiche Cave Apuane intrise di un’aura michelangiolesca.

I tagli o ferite della Montagna dove da sempre si gioca l’incontro/scontro tra l’Uomo e il Marmo, hanno portato la sua attenzione, e quella di tante altre persone, ai primi Marmorarii (probabilmente schiavi diretti da specialisti), ai Caesores (segatori), ai Lapidarii (riquadratori), agli Sculptores (scultori)... cioè a tutti gli elementi di una storia che nella zona apuo-versiliese ha un nucleo pulsante e di memoria.

Il Marmo, del resto, è stato accostato nel passato a Plinio e a Francesco Petrarca, a Baccio Bandinelli e al già nominato Michelangelo Buonarroti, per non parlare di altri creativi famosi o sconosciuti d’un elenco qui impossibile a farsi: Antonio Canova, Pietro Tenerani, Arturo Dazzi, Lorenzo Viani, Giuseppe Viner, Gigi Guadagnucci (1)...interpreti di un qualcosa che ha ragione d’essere.
L’autore toscano, per ciò che attiene l’esposizione a Pietrasanta che con altre apre la stagione 2011, si presenta soprattutto con oli su tavola lignea (che forse è più congeniale alla sua tecnica ‘a spatola’), pur se non mancano supporti telacei, dai quali si evince non solo la tematica or ora citata: le cave, i marmi di mille colori, il silenzio panico dove, assieme ad accadimenti trascorsi, la fantasia porta inevitabilmente a pensare al futuro.

Senza elencare i titoli presentati nello storico Palazzo Carli-Panichi, le cui finestre si affacciano su una delle più belle piazze italiane (con l’imponente e biancheggiante Duomo), le spiagge o le zone collinari toscane, umbre e laziali, e tutto un carico multicolore preso a prestito nei suoi viaggi in Francia, in Spagna e più generalmente in Europa, dicono di tematiche sempre controllate, sobrie, dove l’immagine pare essere stata filtrata grazie al “sentimento”, antico come l’Uomo.

Nella danza dei verdi e degli azzurri, dei viola e delle tante altre gamme, c’è ancora la gioia di vivere, di “vivere nel creato”.

E’ un poeta che sa scrivere, e lo fa pure col segno/colore inferto con decisione, interpretando più che altro il senso positivo delle cose del mondo: che Carlo Ferrari ci consegna in modo elegante una coscienza del frammento la quale non si traduce come in altrui volute solitudini ma tende a testimoniare una propria verità artistica per sottolineare la necessità di integrazione tra il soggetto (l’artista) e l’oggetto (il tema scelto).

La sua libertà/autonomia, con la mano che indica e afferma e plasma, dispone i colori secondo un preciso ordine mentale, una grammatica propria, sì da ospitare proprio lì – in quel preciso punto – ogni considerazione, riflessione, emozione... in una commistione così ben amalgamata e fusa da destare sempre un’attenta disamina, e conseguente un ottimo giudizio sia singolo, sia collettivo.

Il tutto si snoda in un apparente e costante silenzio, sintesi di una sensibilità dove il perlaceo si sposa a certi verdi intrisi di viola, e ci sono i gialli, come i rossi del sacrificio e dell’amore.

La vita artistica di Ferrari è composta di tre fasi diversificate che tuttavia hanno un preciso filo conduttore. La prima è irruente e giovanile; la seconda – assai lunga e pur sempre attiva, rifugge nella quasi totalità inviti ad esporre con personali o in collettive, ma ha fatto in modo da filtrare antecedenti tumultuose scelte cromatiche. La terza, odierna, ci dice di un pittore a tutto tondo, possessore di uno stile grazie al rigore dell’autocritica dei dipinti degli anni Ottanta/Novanta (in verità troppo severa, almeno secondo il nostro parere), ma la scelta è stata solo sua, per il profondo amore nei confronti della bellezza che ha saputo unire in immagini vivificate col linguaggio del sentimento.
I quadri sono le sue poesie, e le sue poesie sono i suoi quadri.

Ecco che la sua vicenda ragionata e sincera, e persino un carattere signorile e un poco schivo, ci portano ad affermare che siamo di fronte a un artista che non ha perso di vista la “stella fantastica”, grazie alla quale il navigante giunge alla mèta.

Il suo, in verità, è “un porto” dal quale salperà presto per comporre altri riquadri magici in cui inserire la purezza di nuovi atti creativi: simboli e immagini che ci portano ancora a sperare nell’immortalità dell’Arte.

Lodovico Gierut
Scrittore e critico d’arte

22 dicembre 2010

(1). Vedasi, di Lodovico Gierut, Lavorare il Marmo Arte Artigianato Industria, Marina di Pietrasanta 2008.

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